Guarda che me ne vado
Sara Vannelli
Guarda che me ne vado
Racconti
pp. 196
ISBN: 97888970926xxx
Famiglie deflagrate e desolati interni quotidiani nel cuore di uno scenario urbano iperrealistico.
C’è chi fissa la televisione e chi non sa nemmeno chi è Paolo Limiti. Gente che si inventa un nome si inventa storie. Uomini che se ne vanno, donne che restano e ingombrano. Persone che stanno per dire tiamo o il suo contrario e che incessantemente si chiedono cosa caspita significhi.
L’infanzia che si riaffaccia urgente come unica possibile libertà. Poi c’è il tempo della malattia e di una morte scampata. L’amore di oggi e quello di ieri. I non lo so. Una, due fughe all’estero. E infine un saluto. Una promessa. Un approdo. Perché la ricerca di sé si plachi un momento. Per poi ricominciare scalmanandosi ancora in uno stile febbrile come le vite frettolose che racconta senza fretta.
Rimane un io narrante dissestato ma vigile. Al punto da minacciare continuamente la diserzione.
Dalla prefazione
di
Lidia Ravera
“Questi non sono racconti. Eppure sono racconti. Racconti perché raccontano. Cosa? La frantumazione, la difficoltà di rimettere insieme i pezzi esplosi con la fine dell’infanzia. C’è un gran rumore, nel mondo raccontato da Sara. C’è la televisione sempre accesa con un blog assordante di personaggi. C’è il corpo che impone una costante preoccupazione per sé stesso. Ci sono cronache dall’amore e dal suicidio e da gravidanze isteriche e da crisi gravide di discese negli inferi dell’autostima zero. È in presa diretta. E’ un cantico contemporaneo, con una ruvida base techno. Però è anche altro: e bisogna leggerlo lentamente, dalla prima pagina all’ultima o partendo da centro o dall’ultima alla prima, quasi fosse un romanzo esploso.”
Una mattina mentre stavo lavorando devo aver battuto forte la testa.
Devo averla battuta veramente forte perché mentre perdevo i sensi ricordo che l’ufficio cominciò a trasformarsi. Le scrivanie diventavano delle foglie enormi e marroni e i computer delle nuvole larghe e profonde. Stavo come fluttuando nell’aria e continuavo a girare e rigirare su me stessa. Ma di quella mattina io non ricordo quasi niente.
Allora: sono Federica
sì certo questo me lo ricordo.
Vivo a Roma.
Sì certo anche questo me lo ricordo.
Che lavoro faccio.
Allora, faccio… faccio… no, non me lo ricordo! Ecco! La cosa che ricordo di quella mattina è alba parietti! Sì, ovunque mi girassi vedevo alba parietti, stava dappertutto, su tutti i canali, le radio, sui telefonini e ricordo che per la prima volta capii che quello che fa alba parietti è un lavoro, un lavoro vero, vero e proprio!
Ne fui sconvolta. Non me ne ero mai accorta.
Come!? Che lavoro fa alba parietti?
Sta seduta.
Seduta sì, dove capita: nei salotti televisivi, le poltrone gli studi le sedie i palchi. Insomma sta seduta e commenta.
Cosa commenta?
Tutto. Che domande. […]
A dirla
tutta
mi siedo
anch’io